sabato 29 marzo 2008

L'informazione che vogliamo

Mai come in questa campagna elettorale si è manifestata la pochezza, la sudditanza e la pavidità degli addetti ai lavori dell'informazione. Non tutti, certo, ma nella maggior parte, e in particolare in quelli più "visibili": i giornalisti televisivi.
Assistiamo, forse ormai assuefatti, a interviste che consistono nel porgere domande comode e scontate, che si trasformano in veri e propri assist per risposte che assumono la forma del comizio. Nel quale si può affermare di tutto: dati falsi e di comodo, il contrario di quanto si era detto il giorno prima, attribuzioni di dichiarazioni distorte e bugiarde alla controparte, promesse diametralmente opposte a quanto fatto in passato, e così via. Tanto l'intervistato di turno ha la sicurezza, direi l'incrollabile certezza che il giornalista - o meglio il porgitore di microfono - non batterà ciglio e passerà velocemente alla successiva, analoga, comoda domanda.
Sembra che il Giornalismo (quello con la maiuscola) sia in estinzione.
Le cause sono tante : i poteri economici e politici "governano" i media e, conseguentemente, condizionano gli operatori dell'informazione; c'è la comprensibile remora a "dispiacere" chi può decidere della propria sorte o chi può costituire l'unica alternativa all'attuale lavoro; molto spesso il rapporto di lavoro è precario; ormai tutti parlano delle stesse cose in un "allineamento concertato" che, probabilmente, paga in termini di audience.
Ma, anche a fronte di tutto questo, è incomprensibile che non ci sia più l'orgoglio, la passione per uno dei più straordinari, esaltanti mestieri del mondo.
Cosa resta del giornalismo se questo non è più il "fiato sul collo ai potenti". Chi sostituirà il ruolo sociale dell'informazione. Chi si farà carico della missione di scoprire e fornire all'opinione pubblica gli elementi sui quali formare opinioni e convinzioni.
Il panorama mostra - con sparute e per questo ancora più encomiabili eccezioni - un piattume avvilente. L'uniformità, la superficialità, la banalizzazione, il mero riportare i lanci d'agenzia costituiscono la regola.
Le inchieste, gli approfondimenti, il "seguire" nel tempo gli eventi sembrano diventati cosa fuori moda, inutile e noiosa. E forse è così per un pubblico che si è voluto "educare" ad ascoltare sempre le stesse parole, con la fretta di cambiare argomento perchè quello di ieri non "tira" più, allettato ed affascinato dalle notizie che più stimolano sensazioni e partecipazioni scatenate da sentimenti elementari come la paura, l'orrore, il pruriginioso.
E che questa realtà sia ormai affermata, consolidata si dimostra proprio ogni volta che si verificano quelle rare eccezioni. Appena un giornalista svela un retroscena, fa un'inchiesta, c'e una trasmissione televisiva che denuncia un fatto riguardante gli appartenenti alla casta politica od economica, si scatena il putiferio.
Un'alzata di scudi: si viola la privacy, il fatto non è penalmente rilevante, la trasmissione è faziosa e senza contraddittorio, occorrono leggi che impediscano di rendere pubbliche le intercettazioni (o che le impediscano e basta). Immediatamente l'informazione "normalizzata" interviene perchè sia distolta l'attenzione dal "contenuto". Viene messo sotto processo, e talvolta accusato di "uso criminale" dei media, il giornalista che ha osato uscire dal coro, tenere la schiena dritta e, in un battito di ciglia, del retroscena svelato, del comportamento reso noto, dei risultati dell'inchiesta non si parla più.
E invece E' PROPRIO QUESTA L'INFORMAZIONE CHE VOGLIAMO.
Il giornalista che va a cercare tra gli atti depositati di una inchiesta della magistratura e scopre la trascrizione di una intercettazione in cui un politico chiede ad un dirigente rai di far lavorare una attrice perchè questo gli consentirebbe di acquisire un parlamentare fra le sue fila; oppure di un ministro che minaccia di svelare segreti su un presidente di regione e di far cadere la stessa giunta regionale se non ottiene quello che vuole. Le trasmissioni televisive di inchiesta, che svelano i retroscena che rendono palesi comportamenti scellerati dal punto di vista morale, archetipi della "cattiva politica" o della "economia di rapina", aberrazioni etiche che sono tali a prescindere dagli esiti delle inchieste giudiziarie.
Il ruolo, la missione, l'etica debbono imporre, all' INFORMAZIONE CHE VOGLIAMO, di rendere pubbliche queste notizie.
Perchè io destinatario, che devo farmi un'opinione dei fatti, che devo decidere se dare o no la mia fiducia a questa o quella persona ho il diritto di venire a conoscenza di tutto questo e mi aspetto, da un giornalista che abbia rispetto per se stesso e per il ruolo sociale della sua professione, che mi faccia conoscere questi fatti.
Di più: che si impegni perchè i fatti vengano alla luce. Perchè a questo suo ruolo io delego il mio diritto al controllo sull'operato di coloro dai quali dipende il mio presente ed il futuro dei miei figli.
Credo che sia da intendersi anche in questa ottica il rifiuto di Veltroni di Partecipare a Porta a Porta se non in occasione di un confronto diretto con il leaders della parte avversa. Il Partito Democratico può farsi garante, nei confronti di tutti i giornalisti, della difesa della loro professione e di un "voltare pagina" rispetto alla strisciante tendenza di introdurre norme e sanzioni limitanti, volte a promuovere sempre più il giornalismo "in ginocchio".
ilportavoce

Nessun commento: